Francescanesimo: La minorità del Dio biblico
Con il numero di ottobre si è aperta la rubrica su La minorità - attualità inattuale che vuole approfondire, nei limiti anche di spazio della nostra Rivista, l’elemento che costituisce e maggiormente caratterizza lo stile di san Francesco e della sua fraternitas almeno agli inizi.
Dopo aver introdotto nel numero scorso il tema, che sfida e appassiona proprio per la sua ‘attualità inattuale’, in questo numero ci soffermiamo sulla minorità del Dio della rivelazione biblica.
La rivelazione di Dio, come sappiamo, avviene nella storia e ha le sue mediazioni umane: la Scrittura, la Chiesa e il magistero sotto l’azione dello Spirito. Oltre ad essere storica, la rivelazione di Dio – sorgente e modello della vera “minorità” - si manifesta secondo uno stile progressivo, e ha il suo compimento e il suo esempio supremo in Gesù Cristo.
Gesù è il Rivelatore di Dio agli uomini e dell’uomo a se stesso: la minorità che vediamo risplendere in lui è un cammino di rivelazione, con un inizio, uno svolgimento e un compimento nel Mistero pasquale. È il centro irradiante che illumina con la sua luce la vita di Francesco d’Assisi.
Innanzitutto, consideriamo la parola. La minorità è quasi un neologismo (comincia proprio con Francesco, il quale comunque non usa l’astratto “minorità”, ma solo il più concreto e personale “frati minori”), non compare dunque nella Bibbia; ma è profondamente biblico il suo contenuto. Nella Sacra Scrittura il senso della minorità va compreso nel vasto campo di significati che si collegano alla “povertà”, nelle sue varie declinazioni: significa non avere - non potere - non contare, significa vulnerabilità, debolezza, umiltà; e invisibilità, irrilevanza, sottomissione, mancanza di difesa …
In realtà anche i testi biblici tendono alla concretezza, e di solito non parlano di povertà, ma di poveri, dando al termine diverse risonanze secondo i contesti. La Bibbia distingue chiaramente la povertà come fatto sociale dalla povertà come dimensione spirituale.
Nei testi più antichi del Primo Testamento, in una visione fondata sulla “retribuzione”, la povertà è considerata sempre come un male, anche come una maledizione di Dio; gradualmente giunge a venir considerata, specialmente dai profeti - che contestano proprio la teoria della retribuzione - come offesa al povero e frutto di sistemi iniqui e oppressivi. Anche dal punto di vista della minorità l’Esodo è l’evento fondante e rivelativo: Dio stesso interviene e “si fa minore”, anche se agisce con risolutezza e forza, per difendere i minori (stranieri poveri, oppressi, schiavi): Dio guarda, ascolta un popolo senza patria oppresso dal faraone d’Egitto, si fa suo difensore e liberatore.
La povertà-minorità nel progredire della riflessione biblica, e dopo l’esperienza destabilizzante dell’esilio, diviene sempre più l’atteggiamento degli anawim: i poveri in senso sociale e soprattutto spirituale, liberi da idolatrie e false sicurezze terrene, che ripongono solo nel Signore la loro speranza. Nell’ebraico biblico esiste una sola parola per esprimere ‘fede’, ‘speranza’ e ‘attesa’. Così si va delineando una povertà-umiltà-minorità propria del vero credente, che poggia sul Signore, lontano dall’autosufficienza e dall’orgoglio. Aspetti importanti anche nello stile di Francesco, che ricerca la minorità per vincere l’orgoglio nelle sue molteplici manifestazioni, e la violenza che ne deriva.
Nell’Antico Testamento va emergendo la minorità come verità dell’amore di Dio, che non solo guarda i poveri, ma vive una logica povera. In Gesù Cristo, ‘rivelatore’ e ‘rivelato’, Dio si fa povero-minore fino alla morte di croce. Gesù Cristo esprime la logica della kénosis (=abbassamento, svuotamento), la minorità più sorprendente e sconvolgente, che ci apre sul cuore stesso di Dio-Trinità: ogni Persona divina è tutta per l’altra e riconosce l’altra come più importante di sé.
Commenti dei lettori
NON CI SONO COMMENTI PER QUESTO ARTICOLO
Lascia tu il primo commento
Lascia il tuo commento
la cripta
di San Francesco
Rivista
San Francesco